Intervista a Marilù Mastrogiovanni

L’intervista è parte della tesi, della maturità liceale, dal titolo: “Il giornalismo d’inchiesta nella lotta alle mafie. Come il sapere e le arti possono aiutare la legalità” [luglio 2015]

Marilù Mastrogiovanni, direttrice de “Il tacco d’Italia”, autrice del libro “Xylella Report”.

Com’è nata l’idea di fare questo lavoro?

Penso di averlo sempre saputo. Ho sempre pensato di volere, fin da bambina, scrivere e raccontare quello che vedevo e quindi non è stata una illuminazione improvvisa né una scelta maturata pian piano. Non ricordo di aver mai voluto fare altro. Ho sempre voluto fare questo, vedere quello che raccontavo. A scuola andavo molto bene in italiano e le maestre, a cominciare dalle elementari, mi hanno sempre incoraggiata a scrivere; così ho scoperto ad un certo punto che quello che volevo fare si chiamava giornalismo. Non ricordo di aver mai voluto fare altro che questo.

Perché il giornalismo d’inchiesta piuttosto che il giornalismo comune?

Questa è stata una scelta. Se essere giornalista è stata una sorta di “vocazione”, fare questo tipo di giornalismo, il giornalismo d’inchiesta, è stata una scelta dettata dal confronto con la realtà. Ho studiato e vissuto a Milano per dieci anni; poi ho deciso di tornare in Puglia e mettere in pratica quello che sapevo fare, fare qualcosa di buono nella mia terra. Ma ancora non avevo in mente di fare inchieste: semplicemente volevo fare la giornalista. Quando poi ho cominciato a raccontare la realtà che mi trovavo di fronte, ho capito che c’era un vuoto di informazione e la mia esigenza di capire e di approfondire si scontrava con la cronaca, con la velocità della cronaca e con la superficialità che spesso è necessaria per affrontare tanti argomenti. Evidentemente tanti dettagli sfuggono e te li devi lasciare dietro perché devi cercare notizie fresche e devi cercare di non bucarle. Devi dare notizie, devi dare l’essenziale, devi verificarle, devi fare il tuo lavoro …

Ma l’approfondimento necessita di tempo, di studio e quindi di altri spazi, di altri contenitori, che spesso i quotidiani e le televisioni non hanno. Tra l’altro io ho iniziato il mio lavoro, qui in Puglia, nel ’99 e non esistevano siti online o quotidiani on-line che magari adesso possono colmare questo tipo di esigenza, quella dell’approfondimento d’inchiesta; c’erano solo i giornali cartacei e le televisioni, che non mi soddisfacevano, e quindi già pensavo di fondare io un giornale, cosa che avrei fatto dopo, un giornale d’inchiesta che si chiama“Il Tacco d’Italia”.

Ho cominciato a fare inchieste grazie a un direttore che mi ha dato spazio. Scrivevo per un settimanale,“Il Corsivo”, che adesso non esiste più e che aveva il “passo lento” del settimanale e quindi spazi di approfondimento e interviste, ma quello che volevo fare io erano le inchieste. Il direttore mi ha dato spazio e così ho potuto iniziare a confrontarmi con la tecnica dell’inchiesta che ho imparato bene: mi sono fatta le ossa sul “Sole 24 Ore” perché intorno a quegli anni, 2000-2001, non ricordo l’anno preciso, è nato il “Dorso Sud” del Sole 24 Ore, un intero giornale dedicato alle regioni del Sud, isole comprese. Ed è lì che, con il mio caposervizio Maurizio Caprino e il caporedattore Francesco Gaeta, ho imparato bene le tecniche dell’inchiesta giornalistica.

Ha mai pensato, prima di fare questa scelta, o di pubblicare un articolo che colpiva criminali: “che cosa sto facendo?”.  Ha mai considerato i rischi che avrebbe potuto correre con un articolo?

Allora, intanto devi sapere che quando tu inizi un’inchiesta hai un’intuizione, hai un interesse, hai un’ipotesi da dimostrare, hai una pista da seguire. Tutto quello che c’è in mezzo tra te e la tua intuizione e l’inchiesta finale tu non lo sai. E’ una specie di puzzle che pian piano viene fuori e l’inchiesta, a meno che non sia su una persona che sai già essere un criminale, magari condannato al terzo grado, non sai dove e a chi ti porterà. Devi essere pronto a confrontarti con qualunque argomento e realtà ti trovi di fronte. Ti faccio un esempio: ho cominciato a fare l’inchiesta sulla xylella un anno fa a partire dalle segnalazioni di alcune associazioni, in particolare di associazioni che ipotizzavano gli interessi di una multinazionale, nel Salento e in Puglia, collegati alla xylella e agli ulivi. Questa era la loro ipotesi e su questa hanno fatto l’esposto in procura. Da allora ho iniziato a indagare, ma quello che ho scoperto mi ha portato da tutt’altra parte: mi ha portato a scoprire meccanismi di speculazioni edilizie molto grossi. Ho scoperto che la regione Puglia ha modificato delle leggi sul tema degli ulivi, ufficialmente per tutelare gli ulivi ma in realtà favorendo le speculazioni dei cementificatori. Io questo non potevo immaginarlo mentre cominciavo a indagare. Oppure ho scoperto che la regione Puglia, nel 2013, quando ancora il batterio della xylella non era stato neanche isolato, aveva già indicato, in una delibera regionale di giunta, che l’intera provincia di Lecce era infetta dalla xylella e che tutti gli undici milioni di alberi del Salento, andavano sradicati e che si dovevano obbligatoriamente usare […]. Io non potevo immaginare questo grado di dettaglio quando ho iniziato a indagare sula xylella. Mi sono trovata anche di fronte a prestanome con precedenti penali per discariche abusive, sempre nell’affare xylella e quindi al coinvolgimento della criminalità o comunque di persone poco pulite nelle speculazioni edilizie. E a man mano che scavi più dettagli trovi.

E’ mai stata minacciata?

Le minacce sono tantissime. Non te le sto a raccontare, puoi fartene un’idea navigando su internet. Se vai sul sito dell’associazione a tutela dei giornalisti minacciati, ossigenoinformazione.it, troverai tante storie che hanno riguardato me in questi anni. Furti con scasso alla redazione del giornale. Sono stati rubati tutti i computer perché probabilmente erano alla ricerca di informazioni sensibili. All’epoca mi occupavo di speculazione edilizia del futuro Parco Regionale di Ugento. Hanno rubato i computer sfondando il muro e usando una violenza esagerata, con gravi danni alla redazione, quando avrebbero potuto semplicemente aprire la porta con un piede di porco. L’hanno fatto altre volte. Hanno aperto la porta della redazione lasciandola aperta senza rubare nulla, questo prima del furto, in segno di avvertimento. Oppure nel periodo in cui facevo le inchieste sui rifiuti, ogni notte, per almeno un paio di mesi, scaricavano davanti alla porta della redazione cumuli di rifiuti che io prima di entrare dovevo rimuovere. Ovviamente anche minacce telefoniche. Tantissime querele anche da parte di mafiosi, querele temerarie, intimidatorie che sono state archiviate. Le querele arrivano anche dagli imprenditori e dai colletti bianchi. Quando si va a colpire la triangolazione tra potere criminale, politica e colletti bianchi, quindi dirigenti pubblici, si tocca un buco nero di interessi pazzeschi e toccare quelli diventa davvero pericoloso. Ti arrivano le minacce, a me sono sempre arrivate ma ovviamente vado avanti.

Dopo le prime minacce, ha mai pensato di mollare?  

No, ho pensato che avevo colpito nel segno, ho pensato che avevo centrato l’argomento e che ero sulla pista giusta per scardinare un pezzo di potere criminale, mafioso o politico o massonico.

Quindi era quasi incoraggiata a continuare?

Professionalmente sì, diciamo le minacce sono sempre la conferma che hai fatto centro. Sarebbe stupido dire che non si prova paura, la paura è umana. Si prova la paura ma si va avanti, non si fa il passo indietro. Si percorrono e si devono percorrere tutti i 100 passi, mai fermarsi al novantanovesimo, tutti i cento passi.

In merito ai nove giornalisti uccisi dalla mafia, nonostante la sua giovane età, ne ha conosciuto qualcuno?

No, non ho conosciuto personalmente i giornalisti perché sono troppo giovane, per fortuna … Secondo me quella stagione, per fortuna, è finita. E’ finita perché c’è anche una maggiore consapevolezza da parte delle persone, delle associazioni, delle istituzioni e anche delle categorie professionali: forze dell’ordine, del sindacato e di istituzioni come Ossigeno. Io ho conosciuto e ho scritto un libro su Peppino Basile che è stato ucciso nella notte fra il 14 e il 15 giugno del 2008. Grazie alle sue segnalazioni e alla documentazione che lui ci aveva fornito, abbiamo fatto alcune inchieste importanti come giornale, comeIl Tacco d’Italia, ed era il periodo in cui ricevevamo maggiori minacce per le inchieste sui rifiuti e sulla speculazione edilizia nel parco di Ugento. Basile era consigliere provinciale della provincia di Lecce e consigliere comunale di Ugento. Lui è stato ucciso e quelli che sono stati processati, perché ritenuti colpevoli, sono stati scagionati per non aver commesso il fatto. Io ritengo che si tratti di un omicidio di mafia impunito e non so quando riusciremo a sapere la verità. Su quell’omicidio sono sconosciuti sia il movente, sia il mandante, sia gli esecutori.

Da ragazzo le chiedo: in che modo la Sacra Corona Unita sfrutta i minorenni?

A questa domanda rispondo facilmente. Il furto al giornale, alTacco d’Italia, è stato ad opera di sei persone per rubare sei computer usati del valore di poche centinaia di euro. Sono stati usati sei uomini di cui tre uomini e tre minorenni. Quindi manovalanza al servizio della criminalità organizzata. Queste persone non hanno parlato, non si sa chi sia stato il mandante. Per un cavillo processuale non sono stati condannati nonostante ci fossero dei video della sorveglianza che li incastravano. I minorenni vengono utilizzati come manovalanza perché c’è tanta povertà e quando ci sono povertà e disperazione la mafia diventa l’altro Stato. Uno Stato alternativo che ti dà supporto, soldi e protezione. Questo è il primo utilizzo dei minorenni da parte della criminalità organizzata e della mafia. Poi, purtroppo, vengono utilizzati come terminale ultimo di una serie di reati come lo spaccio. Nel momento in cui un minorenne si presta a spacciare fumo o droghe pesanti, è ovvio che quello è l’anello terminale, il più debole di una catena grossissima, mondiale di mafia.

In alcuni casi, penso per esempio ai “grandi” boss, si potrebbe ipotizzare il ripristino della pena di morte?

No, io ho troppo rispetto per la vita umana per pensare che la pena di morte sia una soluzione. Non solo perché sono contraria ad ogni forma di violenza ma perché penso che si crei, dal punto di vista giuridico, un cortocircuito. Se lo Stato punisce un assassino, non lo può fare macchiandosi dello stesso delitto. Se un boss mafioso si è macchiato di omicidio mafioso, lo Stato non può punirlo utilizzando lo stesso metodo e quindi compiere lo stesso reato. Lo Stato non può commettere un reato. La pena di morte è un reato. Anche se viene fatta in Stati come l’America e viene giustificata per il bene ultimo della collettività, rimane per me un reato di cui lo Stato non si può macchiare.

Il carcere, secondo lei, rieduca effettivamente il detenuto?

Se il carcere viene fatto in un certo modo sì, rieduca effettivamente il detenuto, deve rieducare, il carcere serve per rieducare il detenuto. Io ho toccato con mano un’esperienza bellissima di alcune detenute che, all’interno del carcere di via Borgo San Nicola di Lecce, realizzano manufatti utilizzando scarti tessili o di pelle; creano così linee di complementi di vestiario e accessori, borse, sciarpe, abbigliamento di grande design. Le detenute imparano così un mestiere, imparano a fare le sarte e a creare i propri modelli. Imparano che possono fare qualcosa di buono nella vita e quando escono dal carcere non solo hanno imparato un mestiere ma hanno anche acquisito fiducia in sé stesse. Nel carcere guadagnano anche un piccolo stipendio che possono dare ai familiari che stanno fuori, rendendosi utili economicamente alla famiglia. Quindi il carcere va impostato in questo modo. Non per umiliare le persone ma per dare loro una seconda possibilità.

Anche mia nonna, ricordo, faceva dei corsi di sartoria all’interno del carcere di Bari. Penso anche ai ragazzini, magari arrestati per il semplice spaccio …

Per i ragazzi il discorso è ancora più importante. Se parliamo di minorenni non è auspicabile ma è doveroso che il carcere rieduchi. Nel caso dei minorenni guai se non fosse così. Purtroppo, spesso non è così ma è necessario che lo diventi.

Molte persone affermano che i giornalisti italiani non corrono grandi rischi perché non pensano liberamente e quindi anche le notizie non sono libere ma sono controllate da RAI, Mediaset e altri gruppi … E’ vero o no?

Non sono le notizie che sono controllate da RAI e Mediaset ma sono RAI  e Mediaset che sono controllate dalla politica. La RAI è un servizio pubblico, perché utilizza soldi pubblici e frequenze aeree, che sono un bene pubblico, date in concessione anche ai privati. Non sono proprietà di nessuno ma sono di nostra proprietà anche le frequenze utilizzate dalle reti private. La RAI è un’anomalia perché è amministrata da gruppi politici e governativi e, in minoranza, dal Parlamento. Questa è un’anomalia tutta italiana e quindi è vero che la politica ha il potere di controllare le notizie semplicemente perché la politica controlla la televisione pubblica, digitale e adesso anche l’informazione online. C’è stato un periodo in cui, ad esempio, Berlusconi era sia proprietario delle reti Mediaset sia presidente del Consiglio e c’era il totale monopolio della politica sia sulla televisione pubblica che su quella privata. Quando Berlusconi ha ceduto le quote ai familiari ha compiuto solo un’operazione di maquillage perché di fatto rimaneva il proprietario di tutto. In Italia abbiamo questo grande problema. Per quanto riguarda i giornali, non ci sono editori puri, ovvero editori che facciano solo informazione. In Italia i quotidiani e i settimanali sono proprietà di imprenditori che fanno anche altro. Caltagirone fa l’edilizia, Il Corriere della Sera ha, tra gli azionisti, FIAT e Della Valle. E’ ovvio che si senta l’influenza dell’imprenditore che ha i suoi interessi sul giornale e sul lavoro giornalistico. Mi chiedo se mai il Corriere della Sera voglia fare un’inchiesta sul gruppo Della Valle. Probabilmente si fermerà alla cronaca, alla quotidianità delle notizie e mai leggeremo un approfondimento di più pagine sulle modalità con cui Della Valle, per esempio, attraverso i suoi contoterzisti, i suoi capo filiera, stringe fortissimo i prezzi delle aziende manifatturiere e calzaturiere che producono qui in Puglia. Io, ad esempio, ho fatto quest’inchiesta sulFatto Quotidiano e poi l’ho pubblicata sul mio giornale, il Tacco d’Italia, dimostrando come Della Valle, attraverso contoterzisti che lavorano per lui qui in Puglia, riesca ad avere dei prezzi stracciati, cosa che non fa per esempio nelle Marche. Tratta le aziende pugliesi come se fossero dei cinesi da sfruttare al massimo.

Per quest’inchiesta, pubblicata sulTacco d’Italia, Della Valle mi ha querelato ma non ha querelato il Fatto Quotidiano che aveva pubblicato la stessa inchiesta. Si è trattato di un’evidente querela intimidatoria fatta sulla giornalista per chiudere la bocca della giornalista, che è l’anello più debole, quella che indaga. E quindi In Italia non ci sono editori puri, ma ci sono tanti imprenditori che utilizzano i giornali e le televisioni per manipolare l’informazione. Da questa manipolazione dell’informazione è necessario che i giornalisti si difendano con la loro correttezza professionale, con la loro coscienza e con il loro essere retti, con la loro deontologia professionale imposta loro per legge. E’ necessario che i giornalisti difendano i cittadini.

Io sono uno dei pochi ragazzi, a scuola, impegnato sulle tematiche della lotta alla mafia. Ho la tessera di LIBERA e cerco sempre di diffondere i principi della legalità e di far conoscere agli altri chi effettivamente lotta contro la mafia, chi l’ha combattuta e chi è morto per questo. In attesa di un risveglio dai piani alti della politica, noi giovani come possiamo contribuire alla lotta alla mafia?

Il primo dovere è informarsi. Un cittadino informato è un cittadino potente, che non si fa manipolare. E’ un cittadino cosciente. Più si è informati e più si conoscono le influenze del potere e le conseguenze delle scelte politiche sulla vita dei cittadini e sul bene comune. Questo è il primo impegno che deve avere un ragazzo. Si deve informare su ciò che gli accade intorno. Deve conoscere la Costituzione, che è la cosa più bella che abbiamo. E’ una Bibbia laica, densa e pregna di valori bellissimi a difesa del bene comune di cui non ci si può non innamorare. Deve studiare, capire e informarsi. Questa è già la prima lotta alla mafia perché, se sei informato, la mafia la riconosci anche nell’arroganza dei potenti e quindi ti difendi, creandoti anticorpi sociali attraverso l’informazione. Bisogna imparare a dire no. E’ facile farsi coinvolgere senza accorgersene. Quindi bisogna riconoscere l’illegalità e dire no tutti i giorni, in prima persona.

Questa intervista telefonica è stata, su suggerimento della giornalista, registrata e successivamente trascritta il più fedelmente possibile. Grazie per il lavoro che sta facendo per noi tutti e per il raro esempio di nobile giornalismo.    

© riproduzione riservata

Pubblicato da Francesco Saverio Mongelli

Classe 1997, barese. Autore di canzoni, poesie, saggi, articoli. Musicista e scacchista, appassionato anche di antimafia, attualità, giornalismo, arte e cinema.