Intervista a Francesca Prestia

L’intervista è stata pubblicata nel libro In disaccordo (Radici Future, 2020)

 

Francesca Prestia, cantastorie calabrese, diplomata in Musicoterapia, in Flauto traverso, con compimento inferiore in Composizione, laureata presso il Dams Musica.

Lei è una persona che ha studiato tanto. È possibile trovare, nei giovani d’oggi, rigore e passione?

Certo che sì. La vulgata per cui oggi i giovani sarebbero svogliati e distratti è una bufala. Oggi i giovani, semmai, sono più veloci, intuitivi e soprattutto privi di barriere ideologiche. Ciò che però è necessario, a incominciare dalle famiglie, è incentivare il dialogo, per consentire la trasmissione dell’esperienza e potenziare il patto infragenerazionale.

Durante la sua lunga carriera, ha dedicato numerosi spettacoli al teatro, alla poesia greca e tradizionale calabrese. Come queste due grandi culture riescono ad amalgamarsi così bene?

La Calabria è parte integrante della Grande Grecia: la tragedia greca è nelle corde della Calabria a tutti gli effetti. Nessun problema, dunque, solo molto lavoro di ricerca, studio, ascolto e approfondimento.

La sua musica attinge dalle radici popolari della sua terra. Quanto è difficile esportarla nel resto dello stivale? I giovani calabresi si avvicinano a queste tradizioni o tendono a distaccarsi?

Nessuna difficoltà, perché quando lavori sodo e hai contenuti da trasmettere non c’è barriera, materiale o immateriale, che tenga. Lavoro tanto fuori Calabria e anche all’estero perché l’umanità è una e molti dei suoi gravi problemi sono comuni a tutte le latitudini. I giovani, nel caso specifico, avvinti dalle nuove tecnologie dedicano poco spazio alla tradizione in sé, ma quando vengono coinvolti con libertà e senza supponenza e ipocrisie, partecipano e danno un forte contributo.

Il suo brano, molto apprezzato e pluripremiato, “La ballata di Lea”, è dedicato a Lea Garofalo, donna coraggiosa, testimone di giustizia, vittima di ‘ndrangheta, morta soltanto pochi anni fa. Qual è la condizione attuale delle donne calabresi? È cambiata molto nel corso dei decenni? Quanto è difficile per una ragazza che cresce in determinati ambienti, ribellarsi a continue violenze psicologiche e, alle volte, anche fisiche?

La donna calabrese è forte, autentica e sempre pronta a battersi per mandare avanti le comunità, come d’altronde lo sono tutte le donne. Contro la mafia, che rappresenta un disvalore assoluto, le donne hanno dimostrato coraggio e quelle che io canto e cuntu lo dimostrano ampiamente. Nel corso dei decenni sicuro che la condizione femminile è cambiata, ma c’è ancora tanto da fare: pensi alle dinamiche lavorative per cui la percentuale delle donne del Mezzogiorno che lavorano è la metà di quelle settentrionali. Uno scandalo sociale! Per sconfiggere la solitudine delle ragazze che vivono in realtà difficili bisognerebbe investire in welfare, scuola, cultura. Non lo stiamo facendo purtroppo.

Ad oggi, è possibile vivere di sola arte? Bisogna scendere a compromessi? È necessario reinventarsi e creare sempre qualcosa di nuovo oppure basta soltanto la passione?

Personalmente, vivo grazie al mio stipendio di maestra. Ho cresciuto le mie due figlie con grandi sacrifici e per un lungo periodo non ho potuto esercitare la mia arte. Ora, che le mie figlie sono grandi e più autonome, riesco a dedicarmi all’arte dei cantastorie, della scrittura e composizione di ballate. Non sono mai scesa a compromessi e questa scelta ha reso più in salita il mio percorso artistico; ma, grazie a questa scelta, ho potuto difendere la mia libertà di espressione. Ho potuto decidere di essere liberamente la “cantastorie” che sono, raccontando i personaggi anche scomodi, gli eventi che si vogliono dimenticare, denunciando le responsabilità e le ipocrisie del mondo politico e del mondo dei “potenti”. Non morirò certamente ricca, non lascerò ricchezze alle mie figlie. Ho ancora tanta voglia di sorridere e lottare contro le ingiustizie. Questo già mi basta!

Se non hai determinati appoggi commerciali e non fai parte di lobby artistiche non calchi i grandi eventi: questa è la mia esperienza. D’altronde, io la mia passione non la commercializzo, mai.  Mai scesa a compromessi con nessuno. Io cantu e cuntu la mia terra e gli uomini e le donne del Sud  liberamente, forse per questo tutto mi costa sacrifici enormi. Faccio la mia musica per dare voce ai vinti del Mezzogiorno e portare sui palcoscenici la loro marginalità che poi, attenzione, è una marginalità particolare, perché quando scoppia sono guai non solo per chi la soffre individualmente, ma per l’intera società. Sono ultra felice per quanto il mio mestiere di artista mi consente, amicizie, relazioni, dialogo, lo sarei di più se, in particolare in Calabria, ci fosse da parte delle Istituzioni un’attenzione più marcata. Si fanno tanti eventi erogando ingenti risorse, ma ancora non si è riusciti a mettere in piedi un evento legatissimo alla nostra tradizione come potrebbe essere un Festival dei cantastorie…Ma io non mollo!

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Pubblicato da Francesco Saverio Mongelli

Classe 1997, barese. Autore di canzoni, poesie, saggi, articoli. Musicista e scacchista, appassionato anche di antimafia, attualità, giornalismo, arte e cinema.