Intervista a Gianmarco Mercati

L’intervista è stata pubblicata nel libro In disaccordo (Radici Future, 2020)

 

Gianmarco Mercati, membro dell’Ultimo Attuale Corpo Sonoro, gruppo veronese, nato agli inizi del Duemila.

Il primo disco, “Nueva York: Strade e Sogni”, affronta principalmente la figura del poeta Federico García Lorca, omosessuale socialista, fucilato durante la Guerra civile spagnola, nella metà degli anni ’30. Qual è il principale messaggio che quell’orribile accaduto, e molti altri similari, trasmette?

Il messaggio è l’infamia. Con il nostro primo disco ci soffermiamo però su ciò che accade prima dello sfacelo, sull’infamia precedente. Di Garcìa Lorca raccontiamo il soggiorno negli Stati Uniti nel 1929, a cavallo della prima grande crisi economica proto-globale dell’occidente. Ci soffermiamo sullo sconforto dell’animo di un uomo che, nella necrosi di una metropoli che si gonfia, è catturato soltanto da ciò che è reietto, desolato, emarginato; peggio ancora, in attesa di un ineluttabile destino di dolore. Harlem, Coney Island, i vecchi pontili sull’Hudson sono popolati da figure buie e sole. Gli occhi del poeta cadono nello sconforto, ma l’inevitabile reazione del suo animo è più forte: è una reazione fatta di tenerezza; la stessa tenerezza di cui non è più capace la città, il mondo nuovo e quello che si profila (e che la storia poi ci riconsegna senza sconti).

Nel successivo album “Memorie e Violenze di Sant’Isabella”, sono protagonisti ancora altri grandi poeti come Pasolini, Rimbaud e Hikmet. Storie strazianti, buie, irrisolte, affascinanti. Cos’è la poesia? E soprattutto, quando il testo di una canzone può definirsi poetico?

La poesia è verità, è dono, è spirito di vertigine che tutto contempla, è grido che si interrompe trovando la sua autentica pienezza. La poesia è purezza, è stravolgimento di lingua, metrica, lirica. La poesia è esprime così tanto da sola che parlare di poesia in musica credo non abbia senso. Quel cha forse ha senso è parlare di parole per musica. A fronte di un codice diverso, più che parlare di poesia suggerirei la definizione di prosa lirica.

Gli eventi che raccontate nei vostri testi sono spesso narrati con toni forti, violenti, contornati da arrangiamenti musicali carichi di suono che trasmettono ancor di più l’esigenza rabbiosa di narrazione, spesso collegata ad una voglia irrefrenabile di giustizia. La particolarità è che si passa, spesso durante lo stesso brano, anche a sonorità più acustiche, tempi lenti, melodie malinconiche che, intrise di tristezza, riportano ugualmente ad un clima di riflessione. Qual è quindi il ruolo della canzone di protesta? Perché questo “genere musicale” non è sdoganato e si tende, spesso e volentieri, a non dargli troppo spazio nei grandi canali di diffusione? È soltanto un fatto di ascolti oppure è una questione politica?

La questione è ben più grave, la voragine ben più profonda. In poco tempo alla musica alternativa non sono rimasti nemmeno i canali di nicchia. La musica indipendente è diventata dipendente: dipendente da elementi che con la musica non hanno a che fare e la cui ragion d’essere è strettamente speculativa. Se, come intuisce Hobsbawm, è davvero la fine della cultura, sono anche convinto che la contro-cultura non morirà mai. Sarà relegata all’ombra, certo; avrà sempre più difficoltà nelle interazioni, ancor più certo; ma avrà il coraggio di non partecipare e di non cedere nemmeno un pezzetto della sua libertà. La contro-cultura vive tempi bui: ed è proprio di quelli che si è cibata e si ciberà sempre.

Nel disco “Io ricordo con rabbia”, è presente il brano “Fortapàsc”, dedicato a Giancarlo Siani, giornalista ucciso dalla Camorra il 23 settembre 1985. La musica, in particolare la canzone, grazie alla sua grande comunicabilità, può contribuire alla lotta alle mafie? Il cantautore, oltre a ciò che riguarda le proprie canzoni, avendo un bacino non indifferente di pubblico, deve anche prendere posizioni politiche e sociali?

L’arte non ferma le guerre; figuriamoci, oggi più che mai, le canzoni i dischi o i concerti. Nutro tuttavia una piccola speranza: la musica credo che ancora possa fungere da deterrente, che possa infilarsi nelle coscienze degli uomini rivendicando quella gentilezza d’animo che rende l’uomo un uomo. La bellezza libera l’etica e l’etica libera la bellezza. Il messaggio del pezzo Fortapàsc è questo.

Di recente avete pubblicato il vostro nuovo album “Il male accade”. Qualche parola a riguardo?

Abbiamo spinto sull’intimità. Con “Il male accade” lo abbiamo fatto nei testi e lo abbiamo fatto nel modo fissare la musica. Il disco è stato registrato in presa diretta e nella sala prove di una vita, esattamente laddove i brani nei mesi addietro erano stati pensati e composti. Strumenti a corda, batteria e voce; evitando, in post-produzione, sovra-arrangiamenti o timbri che non ci appartenessero.

Per capire cosa “Il male accade” tratti, a seguire l’introduzione al disco: «Il Male Accade è un’autobiografia erotica: un corpus di testi stravolto da paesaggi sonori che portano la tenerezza a farsi scandalo. Sei brani e un epilogo omicida che raccontano come l’unica passione nell’esistenza di un uomo possa divenire la paura. E come, da quella paura, trovare redenzione nell’amare la vita nuova che si presenta. Suoni che aggrediscono e vuoti liberatori, in tensione, a inacidire ed esasperare la dinamica di un disco in cui la declamazione è tanto intimidatoria quanto costretta all’intimità. L’anarchia di Artaud, Miller, Bataille mitigata dall’esperienza poetica, saggistica e cristiana di Luzi e Ceronetti. La violenza della Padania confidenziale che si mescola alla commozione che nasce dal fondo delle campagne. “Il male accade” è un disco ed è una passione: è la fotografia di un cuore strappato dal torace e ficcato su un vassoio; un cuore incurante del disgusto suscitato agli occhi che pretende di essere osservato».

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Pubblicato da Francesco Saverio Mongelli

Classe 1997, barese. Autore di canzoni, poesie, saggi, articoli. Musicista e scacchista, appassionato anche di antimafia, attualità, giornalismo, arte e cinema.